Mettici qualche errore, però.

Quelli tra noi che sono stati a scuola (una volta l’avrei dato per scontato, che a scuola ci siamo stati tutti: oggi, leggendo i pensierini scritti male degli opinionisti, comincio seriamente a dubitarne), sanno perfettamente che c’erano regole e consuetudini. Una di queste era copiare il compito in classe: consuetudine accettata, e anzi obbligatoria. Tu sei bravo in matematica e devi dare una mano a chi è meno bravo di te. Quelli che non facevano copiare erano, generalmente, dei pezzi di merda, ma facevano copiare uguale, se no la vita in classe diventava difficile. Aiutare un compagno era una consuetudine, ma anche un preciso obbligo sociale, assolutamente ineludibile se non si voleva venir colpiti dallo stigma. Se ne sottraevano soltanto pochi disgraziati, che comunque una vita sociale non l’avrebbero avuta in ogni caso: quelli che venivano a scuola col pigiama che usciva dai pantaloni  o quelli con brufoli grandi quanto l’Etna. Tuttavia, anche per chi copiava c’erano degli obblighi ben precisi. Uno di questi era mettici qualche errore, però. Era una cosa da fare sempre, e non solo perché i professori sapevano benissimo che un ciuccio non poteva consegnare una versione di latino perfetta, ma anche perché, se ti lascio copiare, deve essere ben chiaro che se io prendo, diciamo otto, tu devi prendere al massimo sei. Perché sui libri il culo me lo sono fatto io, e non tu, quindi è ovvio che tu ti becchi la sufficienza risicata e io il bel voto. Certo, qualche volta il professore era particolarmente rincoglionito e metteva il voto buono al ciuccio e quello di merda a quello bravo, ma in questo caso si chiedeva scusa pubblicamente, si ammetteva la superiorità intellettuale dell’amico che ti aveva aiutato , gli si spiegava davanti a testimoni che non era colpa tua e lo si implorava di continuare ad aiutarti.

In nessun caso potevo copiare il compito e poi vantarti di esserne l’autore.

In nessun caso ti sarebbe stato permesso trarne consapevolmente un vantaggio superiore a quello del legittimo autore del compito.

Certo, ci avresti anche potuto provare, ma: nessuno ti avrebbe più invitato a una festa, se avessi provato a sederti di fianco a qualcuno a lungomare quel qualcuno ti avrebbe prima insultato e poi abbandonato sulla panchina in balia di tossici e ricchioni molesti. Cioè, non che la gente fosse migliore di adesso: solo che non gli conveniva socialmente provarci. Gli stronzi c’erano, ma non si permettevano.

Poi è arrivato internet.

Un immenso bacino di sconosciuti ai quali fotticchiare roba senza dover rendere conto. Una frase qui, un fattarello là ed ecco pronto l’articolo, il saggio, le battute per la comparsata tv di domani, il nuovo libro. Tutto gratis, e col copiaincolla non fai nemmeno la fatica di dover riscrivere tutto. Un esercito di negri (nel senso di ghost writers) in mano a un gruppo di ladri leccaculi. Sapete cosa è cambiato? Niente, solo il piccolo fatto che loro sanno di non rischiare un cazzo. Qualche tempo fa mi accorsi che un personaggio ingiustamente famoso ( o il suo esercito di autorucoli) aveva preso il vizio di rubarmi le battute: una, due, tre, quattro, cinque volte. E’ bastata qualche velata minaccia di sputtanamento pubblico (sono fortunato, questo blog ha più lettori di tutti i giornali di partito online messi insieme) e i ladri si sono fatti la sciorda in culo e hanno smesso. Hanno smesso con me, voglio dire. Perché se sei ladro, sei ladro. E quindi non ho dubbi che stiano rubando lo stesso, ma da qualche altra parte, a qualcun altro: qualcuno che non s’incazza. Intendiamoci, se un mio amico di Facebook mi scopiazza lo status e lo posta, o se fa suo un mio discorso, a me non frega un cazzo, o al limite mi fa anche piacere. Ma se ci fai dei soldi sopra, allora no. Allora sei ladro. Ladro. Mariuolo. E io se ti va bene ti sputtano, e se trovo le prove ti denuncio. Ho smesso di leggere un giornalista dell’Espresso, due anni fa, perché un giorno ha citato due battute trovate su internet:  dell’autore della prima ha detto nome e cognome, perché era un collega. Dell’altro ha usato l’espressione presa dalla rete, come se su internet ci fossero bacheche anonime dalle quali i giornalisti furbi possono attingere per i loro pensierini stantii. Ecco, quel giorno ho capito che quel giornalista lì era un pezzo di merda, proprio umanamente. Una persona da cui stare lontani, uno che fa la persona corretta col collega e poi, nella stessa frase si rifiuta di citare l’autore di una battuta perché non è nessuno, non per uno squallido servo come lui. E tuttavia la colpa non è loro. Se a scuola fosse stato consentito a quelli che copiavano di vantarsi pubblicamente di essere più bravi di quelli che copiavano, l’avrebbero fatto tutti: è che se lo facevano prendevano le mazzate; adesso invece le mazzate non le prendono più, per questo si permettono.

Da parte mia, giro con la mazza. Se qualcuno mi ruba qualcosa a scopo di lucro passa un brutto quarto d’ora: molti sono stati avvisati personalmente e hanno lasciato intendere di aver capito il messaggio. Ricordati una cosa: sono ladri, non mafiosi, non assassini. Sono solo dei volgari sorci: possono minacciarvi di querela, ma se siete furbi e avete capito il gioco e gli fate capire che non gli conviene cacare il cazzo a voi, vanno a  rubare altrove. E se altrove trovano qualcun altro che li prende a schiaffi, cercheranno un altro posto, e un altro ancora, finché alla fine la smetteranno: perché non sono pericolosi camorristi, sono solo dei ladri di polli, incapaci che rubano solo perché voi lasciate la porta aperta. Se poi dopo che vi hanno rubato le galline, vi andate pure a comprare le uova da loro, ahò, e che vi devo dire: cacatevi in mano e pigliatevi a paccheri.



7 Commenti

  1. dex

    grazie, questa me la rubo!

    hahHahahahahaha
    scherzo eh! =*

  2. “Presa dalla rete”: emblema dell’abitudine alla rapina!

  3. marco

    Marziano invece a Michele Serra gli doveva fare un culo così

  4. Mizio

    Grande come sempre, a proposito il nuovo libro???
    Lo attendo con ansia :-)

  5. Bufr

    E se, semplicemente, non avessero tenuto conto dei “ruoli attanziali”?

  6. lucianozz

    Ormai mi basta leggere il titolo per sapere esattamente dove andrà a parare un tuo articolo…