Ciaparàtt vs. caccavellari.

Si chiamava Amalia ed era venuta a Milano per fare la commessa in un negozio di largo Augusto dove lavorava un suo cugino. Dopo due giorni che era lì il direttore del negozio le aveva fatto capire che o andava a letto con lui o poteva tornarsene al suo paese del Sud. (Beppe Viola, Sportivo sarà lei)

Qualche tempo fa io e Marco farfallòn Ciriello siamo venuti su a Milano per fare il nostro famosissimo talk Come inguaiammo la letteratura italiana. E lì, al Tap, tra milanesi milanesi e terroni emigrati siamo stati un po’ a parlare di quanto vogliamo bene a Milano, di come Milano sia stata importante per un paio di generazioni di noi. Parlammo di Jannacci, di Cochi e Renato, di Pozzetto, di Gaber, di Umberto Simonetta, di Gianni Mura, di Piero Mazzarella, di Pippo Starnazza, di Beppe Viola, di Scerbanenco, dei Gufi, del bar Giamaica e di altri che ora non mi ricordo perché la serata era al Tap (noto ritrovo di invertiti e alcolisti) e prima avevamo fatto la consueta tappa al bar Basso, il posto dove ogni gentiluomo desidera andare a morire. Questo è il disclaimer. Per intenderci, voglio che sappiate bene come la penso su Milano e i milanesi, e cioè che senza Milano l’Italia avrebbe perso (e perderebbe) molto del poco di bello che le è rimasto.

Detto questo, cari amici meneghini, fatevi dire una cosa: è vero che qui da noi c’è gente che gode del fatto che voi stiate buttando il sangue: lo sapete voi, lo so io, e chi cerca di negarlo sta mentendo. Però vedo una sottile voglia di polemica che monta. Ora, voi avete i vostri minus habens razzisti (che per comodità chiameremo ciaparàtt), e noi abbiamo i nostri (da qui in poi, caccavellari). Per conto mio, questi non sono neanche esseri umani, e non vedo perché noi persone perbene dovremmo impicciarci di quattro (o quattromila) bonobo che si tirano la cacca in faccia. Ovvio che da voi i ciaparàtt fanno danni (e parecchi, purtroppo), e vi assicuro che anche i nostri caccavellari, col loro revanscismo a pizza fritta e bidet, non sono da meno. Però adesso noto che alcuni giornalisti ci stanno, come si dice da noi, azzuppando il pane, come se al Sud fossimo contenti del guaio tremendo che state passando.

Ve lo dico chiaro, perché capisco che quando i media mainstream scendono in campo, la tentazione di credergli è forte: non è vero niente. Nessuno, a parte i caccavellari, si è mai sognato di pensare niente del genere. Nessuno. Nessuno. E nessuno vi confonde, amici miei, coi vostri ciaparàtt vestiti di verde. Quindi sappiate che se qualcuno vi chiama polentoni, è sicuramente un caccavellaro, e non vi potete fare il torto di ascoltare un caccavellaro, così come noi schifiamo i vostri ciaparàtt.

Restiamo cosi: che quando pensate a noi, pensate a Libero Bovio, a De Crescenzo, a Totò. E noi penseremo a Viola, a Jannacci, a Scerbanenco.

Lasciamo che i piecori si scornino tra loro.



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