Less than Amlo.

Come ogni scrittore italiano devi dire la tua sulle accuse tuittate da Bret Easton Ellis contro il defunto David Foster Wallace. Veronesi lo ha già fatto. Questo mi ha scritto un amico, credo per prendermi per culo, su Facebook, e mo’ sono cazzi suoi, perché ho scoperto di avere qualcosa da dire al riguardo. Logicamente, premetto che non sono uno scrittore, ma uno che scrive: la differenza c’è, ed è grande, come sapete.

Detto questo, vi dico subito che ho comprato Brett Easton Ellis nella sua prima edizione di Less than zero edito da Pironti, come ben sa il mio amico Gianluca Merola, quindi lo conosco da vecchia data; e devo ammettere che da lì in poi, American psycho compreso, non mi è mai piaciuto granché. Questa cosa è stata sempre fonte di liti con Marziano, cui invece piace: a me è sempre sembrato un fascistello. Bravo, ma sempre fascistello: un gagà de destra, insomma, in un paese dove gli intellettuali di destra non mancano, e hanno la statura di John Milius o Clint Eastwood, gente che qualsiasi cosa faccia devi scattare in piedi ad applaudire a prescindere. Wallace, invece, semplicemente mi annoia, che vi devo dire. Sbaglierò, ma in fondo chi se ne fotte, sbagliare è una cosa che faccio molto bene.

Quello che apprezzo davvero, invece, è la polemica. Il dire: quello non sa scrivere, è sopravvalutato.

E sono sicuro che quando Ellis lo dice di Wallace, è esattamente quello che pensa. Poi puoi essere d’accordo con l’uno o con l’altro, ma insomma, è una polemica sana, intelligente, sempre che resti nell’ambito della critica letteraria. Se poi, come vedo, si scende sul campo di Elllis è invidioso di Wallace perché ha venduto di più, o perché lo si studierà a scuola, allora no, queste sono beghe da scrittori italiani, che come sapete considero una forma di vita meno utile dei vermi da pesca.

Nessuno di noi è libero dall’invidia, e piacerebbe anche a me vendere un fantastiliardo di copie, ma io quando critico qualcuno non lo faccio perché lo invidio. In genere io invidio quelli che stimo. Invece in Italia, se ti azzardi a criticare qualcuno pubblicamente, scatta l’accusa di rosicone: che poi è quella che è stata rivolta a Ellis. Il quale Ellis, vi ricordo, è già miliardario e strafamoso, e non è che ha bisogno di una polemica con un morto per diventare ancora più famoso.

E’ che noi, in Italia, dobbiamo riportare tutto nell’ambito della nostra mentalità da gallinari, come quella mia amica, che quando andava dal cinese diceva ah questo sa di verza e riso come la fa mammà, questo è riso con i piselli e la frittatina, perché non concepiva gli involtini primavera e il riso cantonese, e doveva tradurli in qualcosa che potesse comprendere in capa, prima di assaggiare e digerire.

Gli intellettuali italiani (apprezzate l’ossimoro), invece, si criticano alle spalle, come si addice alle comari, oppure in privato: mai in pubblico, salvo i rari casi in cui c’è di mezzo del denaro tramite vittoria di premio letterario, e allora sì che vale la pena, perché so’ soldi, e alla fine è quello che gli interessa, garantito al limone. Io sarei ben felice di vedere un dibattito in cui uno scrittore dice a un altro: ma tu questo lo chiami dialogo?, oppure, dove lo hai preso questo aggettivo, da Foscolo?. O, nel caso, sarei prontissimo a  dirle in faccia, queste cose, e per la verità spesso l’ho anche fatto: solo che se parlo io, dicono che mi rode il culo perché non mi pubblica Mondadori, e però tra di loro non se lo dicono. E’ tutto un cinguettare di Antonio carissimo, Luca cortesissimo, Valeria simpaticissima, e poi alle spalle lo sai che Antonio è ricchione, Luca pubblica perché la moglie fa i bucchini, Valeria è figlia e nipote di.

Si dicono le peggio cose, roba che qualche volta ha fatto impallidire perfino a me, ed è tutto dire, ma non parlano mai, dico MAI, di letteratura.

Perché la verità è, chiavatevelo in testa, che a differenza di Ellis (che potrà pure essere uno stronzetto invidioso), a loro della letteratura non gliene può fottere di meno.

Si vede chiaramente dai libri di merda che scrivono.



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