Scrivete, cazzo.

Lo spunto è questo articolo qua, uscito su L’Espresso. E come articolo, devo dire, non è neanche male. Però secondo me ci sono alcune cose che non dice (forse perché l’autore ritiene siano troppo scontate), ma in quanto parte in causa mi è venuta voglia di dire due parole sull’argomento.

1) Gli editori. Se io fossi un azionista venderei tutto per comprarmi azioni di qualcosa gestita meglio, tipo Myspace o Second Life. No perché se devo sentire che tu non solo produci ventimila cose tutte uguali, ma poi non sei manco buono a  venderle, capirei che i soldi è meglio spenderseli a puttane e cocaina, almeno uno si diverte. In sostanza, cosa hanno fatto? Hanno sputato in faccia al loro pubblico vero, quello che i libri li compra, per andare appresso alle professoresse che votano Pd, quelle si comprano il caso editoriale. Solo che si comprano SOLO quello, e manco è detto che se lo comprino tutti gli anni. Il pubblico che inseguono loro è composto di gente che i libri li compra ogni tanto, magari li regala ma di sicuro non li legge, e che se quest’anno a  Natale regala un libro, l’anno dopo compra la cover per l’iphone. E’ che come se il gestore di un bordello etero dal giorno dopo cambiasse le mignotte femmine con i puttani maschi pretendendo di mantenere lo stesso pubblico. Il cazzo sarà anche una bella cosa, ma non è che deve piacere a tutti per forza. E soprattutto non è che se me lo riproponi tutti i giorni per un anno divento ricchione, imbecille.

2) I librai. Vivendo a Salerno, mi ricordo di quando aprì la prima Feltrinelli: pareva il paese dei balocchi. Abituati a bugigattoli con al massimo due o tre titoli, il fatto di vedere esposti, che so, i libri di Glauser, ci sembrava una cosa da fantascienza. Col tempo, però, su spinta degli editori, si sono trasformate (tutte, non solo Feltrinelli), in posti in cui si cerca di vendere soprattutto dieci o venti titoli alla volta, sempre alla professoresse di cui sopra. Vi ho già raccontato della fatica mostruosa che dovetti fare per comprare una copia di Gomorra quando Saviano non era ancora famoso: e lo pubblicava Mondadori eh. Eppure tutti i settamila metri quadrati della libreria erano occupati da sei o sette bestseller e da caccavelle varie. Cioé, se cerchi un libro, stai sicuro che nove volte su dieci in libreria non lo trovi. Lo devi ordinare, poi tornare in libreria, sperare che sia arrivato e nel caso comprartelo. Poi dicono che il successo di Amazon è per via degli sconti, mica perché  il libro te lo fa arrivare il giorno dopo, a casa tua.

3) Gli scrittori. Nella migliore delle ipotesi, un branco di scassapalle. Asserviti agli editor, che giustamente cercano di produrre libri tutti uguali, hanno cominciato a produrre libri tutti uguali. Ma non tutti uguali a Moby Dick. tutti uguali a un compitino di terza elementare. Sono le prime vittime di questa situazione, ossessionati dalla concorrenza, che cercano di stroncare impedendo la pubblicazione a chiunque sia più bravo di loro, appena possono. Il risultato è che, pubblicando tutti la stessa fesseria, hanno perso ogni credibilità: alcuni francamente sono figure patetiche che accocchiano figure di merda.

In tutto questo, la litania degli idioti di cui sopra è che in Italia sono tutti scrittori, che tutti hanno un libro nel cassetto. E allora? Perché tu lo devi avere, un libro nel cassetto, e l’idraulico no? Chi cazzo ti credi di essere? Sei nato scrittore, famme capi’? Prima di essere pubblicato dall’editore Pannicuocolo che facevi? Lo scrittore in erba? Declamavi versi sul lungomare? E soprattutto, se in Italia scrivono tutti e secondo te non devono, perché cazzo vai a insegnare nelle scuole di scrittura? Perché mai, o imbecille, credi che uno frequenti una scuola di scrittura, se non per fare lo scrittore? E non ti rendi conto che dicendo una cosa e facendone un’altra ottieni il solo risultato di apparire per quello che realmente sei: un pezzente invidioso e rosicone (tu sì, rosicone, perché hai terrore di chi sta peggio di te) che cerca di sfruttare la gente che, a differenza di te che sei un Calboni qualunque, ha una vera passione.

Per questo vi dico: scrivete, se volete scrivere. E fatevi pubblicare, e se non vi pubblicano chiedetevi: sono io che sono scarso o loro pubblicano solo merda? Scrivete, usate il self publishing on demand, gli ebook. Inondate il mercato. Un romanzo al mese, un saggio alla settimana, una poesia al giorno. Non date retta agli affaristi e agli sfigati atteggiati. Scrivete, siate fluviali,  incontenibili. Sputate in faccia a editor e scrittori che pretendono di insegnarvi un mestiere che non conoscono affatto. Se volete, frequentate pure un corso, ma solo per stare in contatto con gente come voi o per rubare il mestiere a quelli bravi.

Scrivete, cazzo. Ogni singolo giorno, ogni singola notte.

E se vi serve un motivo, guardate chi vi dice di non farlo. E poi fatelo.

 



7 Commenti

  1. Vincenzo

    Ti lovvo!

  2. Di commovente, vera bellezza. Un manifesto per gli scrittori veri.

  3. Si scrivono tanti libri, sarà anche vero. Eppure si fa spesso fatica a trovare il libro che si vuole – quello che parla dell’argomento che si vuole conoscere e che lo tratta con competenza; quello che contiene il romanzo che ci farà guardare le cose con un occhio diverso. Forse servono più libri, ancora di più, sempre di più.

    • anduoglio

      Non bisogna cercare il libro che ci si aspetta di leggere (a meno che uno non cerchi un manuale sugli orologi a pendolo). Non sono i temi da conoscere a dover interessare. Nella letteratura l’argomento non è rilevante.  Lo stile e la qualità letteraria fanno un grande romanzo, non l’argomento che si vuole conoscere, a meno che uno non vada alla ricerca di un manuale. Ci si deve lasciare stupire dalla letteratura, e la letteratura può riuscirci indipendentemente dall’argomento. Altrimenti uno cosa fa? Un anno cerca romanzi sulla camorra, un altro anno sul malaffare della politica, un altro anno ancora sulla violenza negli stadi? Non è così che dovrebbe funzionare, significa ricadere negli studi di marketing fatti dai manager che stanno distruggendo a pezzi a pezzi tutti in Italia (non solo la letteratura).

  4. anduoglio

    Celine, in una famosa intervista del 1959, diceva: “Se non mettete la vostra esperienza sul tavolo, non avete nulla. Uno deve pagare! Quello che è fatto gratuitamente non conta nulla, vale meno del nulla. Allora, avete scrittori gratuiti.  E quello che è gratuito, puzza di gratuito. Al giorno d’oggi, voi avete solo scrittori gratuiti. Che cosa ci mostrano? Sono gratuiti.”
    La questione è molto complessa, come era giustamente segnalato nell’articolo da te citato “il settore dell’editoria è l’unico settore in cui ce la si prende coi clienti per la propria crisi”. La verità è diversa. Mai come oggi la gente legge dalla mattina alla sera, è cambiato il senso del leggere. Si leggono e si guardano miriadi di cose in pochissimo tempo, in una giornata si assorbono informazioni che prima si assorbivano in 30 giorni. I giornali sono obsoleti, è preistorico andare in edicola è leggersi le notizie del giorno prima, di cui si sa tutto mentre online si leggono notizie su quanto sta accadendo nell’universo in questo preciso istante. L’editoria si salva solo con qualità, con l’approfondimento che faccia riflettere e che ti dia quel qualcosa che non trovi online (Il Fatto è un esempio di operazione di successo, andrà in borsa, finchè sarà gestito così potrà andare avanti, poi passa il tempo, i direttori muoiono, cambiano le redazioni, tutto può accadere). Poi vai a leggere cose come queste (scritte da uno che è considerato un vero e proprio santo laico del giornalismo italiano)
    http://www.repubblica.it/politica/2014/05/25/news/non_amo_renzi_ma_oggi_lo_voter_e_vi_spiego_il_perch-87119232/?ref=HREA-1

    e capisci che la gente fa bene a non comprare più i giornali, tanto vanno avanti lo stesso a botta di soldi pubblici facendo il lavoro sporco di supportare chi li finanzia, cioè la peggiore classe politica della storia dell’universo.
    Tornando all’editoria vale lo stesso discorso. La letteratura è sotto ostaggio dei manager, degli esperti di marketing (marketing = studiare i mercati, intuirne le tendenze e offrire al mercato il prodotto che il mercato intende ricevere = suicidio in ambito letterario perchè la letteratura se ne strafotte giustamente dei mercati). Il contenuto non vale rispetto all’idea di vendere. Se ai manager venisse garantito un successo di vendite per un libro dove è scritta la parola “merda” su tutte le pagine, loro pubblicherebbero il libro senza nemmeno starci a pensare. Comunque resta sempre valido quello che diceva Moravia: in Italia si diventava un intellettuale quando qualcuno che era considerato autorevole ti pubblicava una recensione su un giornale. Le rubriche di letteratura erano seguite da poche centinaia di persone. Queste poche persone compravano il libro e lo leggevano. La letteratura italiana era costituita da una cerchia ristretta a poche centinaia di persone, qualche critico letterario molto bravo ed autorevole, qualche scrittore e ancor meno lettori. 

  5. Giordamas

    “Scrivete, cazzo. Ogni singolo giorno, ogni singola notte.”

    Come se fosse tanto facile! Nella narrativa devi conservare il ritmo del racconto, se vuoi scrivere un romanzo, la storia deve avere un respiro sufficientemente lungo, se una novella, adeguatamente breve per mantenere una certa efficacia. Le trovate narrative devono essere coerenti al progetto originale, rispettare dei tempi interni logici, non c’è spazio per incongruenze e illogicità. E quel personaggio? E’ così credibile e convincente come pensavi? Magari rileggi tutto e lo trovi noioso e scialbo e sì che ti ci eri sfiacchito con così tanto entusiasmo. E quanta roba di quella che hai scritto serve sul serio? Talvolta davvero è meglio tagliare, sintetizzare così che la lama del coltello diventi davvero tagliente. Quanti narratori si preoccupano seriamente di questi problemi? Ho letto di certa robaccia anche di “scrittori affermati”…

    La poesia? Quanto facilmente ci siamo sbarazzati della metrica, del ritmo, dei versi della tradizione in nome della “libertà del verso”. Quante poesie, scritte, pubblicate, magari perfino di successo, sono semplici flussi di coscienza dove si va a capo “ad cazzum”? “Scrivete, sì, ma pensateci sempre un po’ prima di pubblicare”, aggiungerei. E a volte è meglio pensarci su piuttosto che scrivere per forza. Che, forse, un po’ di colpa nella “crisi del libro” è dovuta anche a questo.

  6. danilo

    Bravo Amleto Mi piace la tua esortazione a scrivere,cazzo!. Cosi come mi fa ridere il titolo “vuoi morire di fame? scrivi!” L’artista fa la sua strada gia’ sapendo. Pamuk. Cristo santo! ringrazio iddio che leggendo l’articolo mi sono potuto consolidare l’idea che mi ero fatto leggendo quel libro odioso che e’” Il mio nome e’ Rosso”. Si parla di scrittori o di ruffiani baciaculo del pubblico?..di soldi? di che? letteratura? finanza?. Bravo Amlo comunque e chisselincula i parolieri senza nerbo e senza espressione i fantomas del libro. Magari ricchi sfondati, pur sempre morti e inespressivi.